Berna, 10 Maggio 1989 – Coppa delle Coppe, Finale
Barcelona-Sampdoria 2-0
4′ Julio Salinas, 80′ Lopez Rekarte
Barcelona: Zubizarreta; Milla (61 Soler), Aloisio, Eusébio, Urbano; Amor, Alexanko, Roberto; Julio Salinas, Lineker, Beguiristain (74 López Rekarte) Coach: Cruyff.
Sampdoria: Pagliuca, Mannini (27′ Pellegrini S.), Lanna, Pari, Salsano, Pellegrini (54′ Bonomi), Victor, Cerezo, Vialli, Mancini, Dossena. Coach: Boskov.
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Arbitro: George Courtney (ENG).
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Spettatori: 43.000 circa.
Il mio ricordo
Purtroppo io la vidi in TV e ricordo tutto abbastanza bene. Era una Samp che arrivò a quell’appuntamento molto rabberciata (assenti Carboni, Vierchowod e dopo poco anche Mannini, infortunato, Pellegrini e Vialli non certo al meglio), perdendo da una squadra che almeno in quella serata era apparsa un tantino esperta, ma soprattutto forte del gol iniziale. Con tutti gli elementi a posto però sarebbe stata un’altra storia.
Finale di Coppa delle Coppe UEFA, 10 maggio 1989
Johan Cruyff vince il suo secondo trofeo in tre stagioni e l’FC Barcelona diventa il primo club europeo a conquistare la Coppa delle Coppe UEFA per tre volte. Pur potendo contare su fuoriclasse come Gary Lineker e Julio Salinas in attacco, i catalani arrivano in finale non senza difficoltà, superando il KKS Lech Poznán per 5-4 ai calci di rigore dopo aver pareggiato 1-1 sia all’andata che al ritorno. Nei quarti di finale contro l’AGF Århus i blaugrana riescono a segnare appena un gol in 180 minuti. In semifinale i catalani non deludono, però, e si impongono sul CFKA Sredets Sofia con il risultato complessivo di 6-3 con un certo Hristo Stoitchkov che segna le tre reti dei bulgari.
Ad affrontare il Barcellona nella finale di Berna è la Sampdoria UC, allenata dall’ex tecnico del Real Madrid CF, Vujadin Boskov. In attacco c’è la coppia d’oro composta da Gianluca Vialli e Roberto Mancini. Dopo aver eliminato l’IFK Norrköping e l’FC Carl Zeiss Jena, i blucerchiati superano la CS Dinamo Bucuresti nei quarti grazie alla norma delle reti segnate in trasferta. In semifinale la Samp se la vede con i campioni uscenti del KV Mechelen. Dopo aver subito due gol in Belgio, Vialli segna la rete fondamentale in trasferta.
A Genova tre gol negli ultimi 22 minuti consentono ai doriani di qualificarsi per la finale che vedrà la presenza di 40.000 spettatori. La Sampdoria ha molti infortunati e dopo il gol in apertura di Salinas al 4′ non c’è più storia. La contesa resta comunque aperta fino a undici minuti dal fischio finale, quando il terzino Luís López Rekarte segna il raddoppio per i catalani dopo essere entrato a gara in corso.
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Schegge di Memoria: Berna 10-5-89, incompiuta di un finale
Lessi la poesia un’altra volta: “Ricordo di un finale vaporato dai salici riverbero picchiettato a romori d’estate… Mai che gli anni m’abbian compito a segno, mai che gli anni… Rimasto all’incompiuta di un finale”. Assaporai la poesia, che scrisse un mio antenato che si chiamava Luigi, che noi chiamavamo Gigetto, ma che scelse Renzo Laurano come nome d’arte poiché il nostro cognome non era poi di così immediata percezione. La assaporai nello stesso modo in cui si gode il bollente caffè all’alba di un nuovo giorno, trattenendo il gusto fra le labbra, cogliendo l’aroma prima che lentamente si disperda, cercando di non perdere un attimo di quell’intenso piacere.
Si fa così anche con le parole, quando trovi inaspettatamente quello che stavi cercando con tanto affanno. Le parole giuste. Per qualità, ma anche per quantità. E mi piacevano quelle parole, lette d’un fiato, seduto nella penombra di una stanza, con un filo di luce appena. Erano parole familiari, e non solo per la provenienza. L’incompiuta di un finale era speranza, ruggiti, sudore, pioggia, un’improbabile arena legnosa, pareti d’ansia in cui eravamo imprigionati, guardati a vista, osservati con morbosa attenzione.
Un accecante rendez-vous con migliaia di tempi e di cose, migliaia di storie e di luoghi, decisamente troppi per stare tutti insieme all’interno di quello scalcinato settore, ma pur sempre un’incompiuta di un finale, lo stesso della poesia, e fu davvero confortante trovare un’incompiuta che mi attendeva, disponibile ad adattarsi al mio inzuppato sconcerto, mio e non solo mio, in quella notte dove parole e significati, canzoni e storie, si erano fusi nelle lacrime di uno e nelle lacrime di tutti.
Prima del vecchio Sektor 2 e del turbine di emozioni, le case in legno finivano in mezzo ad un bel mare di vuoto verde intorno al decrepito Wankdorf Stadion. Alberi troppo curati, panchine per l’occasione invase e bancarelle per l’occasione ricolme, recinzioni improvvisate sormontate da guardie che proteggevano una tranquillità neanche troppo arrugginita. “Scorciatoia per l’inferno”, parafrasando un vecchio film degli anni Cinquanta di James Cagney, un lento attraversare una No men’s land per raggiungere il centro dei nostri sogni, guadando il fiume delle nostre paure.
Una marea di pullman, macchine imbandierate, in un labirinto di colori blucerchiati e di sospiri portati da ventimila anime tormentate. Mi ero sempre domandato che sensazioni potessero trasportare i miei sentimenti. Tutto nascosto nel cuore, frammenti che andavano inesorabilmente a combaciare con i frammenti della vita. Storie incastrate ad altre storie ed ad altre ancora.. Ricordi senza un filo, come vagabondi trasportati dagli eventi che invece avevano una loro traccia ben precisa, quando mi fermai davanti ai cancelli dello stadio consapevole del termine dell’attesa e del principio della storia.
Il cielo si incupì, lasciando la sua lunga scura scia. Dietro di me una volta di cielo, tempestosa, si fece nera cometa, nella notte più buia. Un meteorite grande come una nave piombò con tutto il suo fragore verso di noi. Enorme, prese le dimensioni di un mondo nascosto, traballante come il nostro, turbinò e si spezzò in mille pezzi, piombando sui nostri sogni, spazzandoli via, prima che potessimo renderci conto di quello che stava realmente accadendo. Noi continuavamo a cantare.
Incredibile, quello che sentii intorno a me fu una gigantesca anestesia, non ebbi bisogno di sentire dolore, non ebbi più bisogno di presagire. Ma non sentivo male, quel che mi stava attorno, la vicinanza, la voglia di continuare a cantare, mi confortava. Quel “Grazie lo stesso…” indimenticabile…
Seduto per terra, Luca Vialli seduto accanto a me, talmente vicino che i nostri gomiti avrebbero potuto sfiorarsi, lo sentivo, ma non lo vedevo. Il suo viso era un’ombra senza contorni, una visione grigia in un vicolo buio, i suoi muscoli sferragliavano accanto a me, e sapevo che erano feriti, sapevo che ne avevano già avuto abbastanza di quella serata. Ma dovevo dirglielo lo stesso, glielo dissi lo stesso. Non svanire Luca Vialli, non ancora, ho bisogno che resti qui con me ancora un momento e sento braccia e menti che mi sorreggono mentre l’oscurità ci avvolge e migliaia di altre menti supplicano l’aria che li circonda perché il viso di Luca Vialli ricompaia d’incanto e non sia più soltanto una sfinita ombra.
La curva rabbrividì. Fredda come il ghiaccio l’acqua che il cielo ci spruzzava in faccia, mentre i ragazzi sfrecciavano fuori dal tunnel scrutando le anime intorpidite che si accalcavano intorno a loro. E io non capii se dovevo gridare o rabbrividire. Ebbe il sopravvento, per me come per tutti i ventimila, la voglia di gridar loro qualcosa che li facesse correre e segnare, che gli facesse venir voglia di regalarci qualcosa per cui valesse la pena non solo gridare, ma anche gioire.
Maledizione, qualcosa potrebbe piombare dal cielo per fermare quell’onda blaugrana, pensai, per tutte le saette e i fulmini del mondo… ma non in questa città, che non può essere oltre tutto, oltre ogni barriera e barricata, nel nero più profondo di una notte e di un cielo bernese che ci vogliono inghiottire… Un destino beffardo che ci prendeva di mira. Non c’era bisogno alcuno di scuoterci per capire che cosa fosse. L’orrendo meteorite era piombato, quando rallentò prima di colpirci, sentimmo tutto il peso di una sentenza già scritta sottrarci la terra sotto i piedi. Il peso dei goffi movimenti di Salinas che decideva se insaccarla o no quasi sfondava le nostre teste.
Tu urli, io urlo, tutti urliamo: se quella palla entra, vuol dire che siamo nel posto sbagliato… maledizione, allora siamo nel posto sbagliato… non importa quanto abbiamo sognato questa notte, quel pallone che rotola in fondo alla rete ha deciso di darci una lezione di quelle difficili da dimenticare. La imparammo subito, lo dimostrò quello striscione quattro giorni dopo a Marassi ad accogliere i reduci: “Né rabbia né dolore, solo grazie per il cuore…”.
“Troppo in alto guardavo, io sempre in alto:
i sogni mi devastano. Combatto
quasi uscendo di vita e muoio al resto
rinascendo da illuso. E torno in campo”.
Sedici anni fa ed adesso. Sono la stessa persona, ma due persone differenti. Collegate, ma distanti. Conosco e comprendo ciascuna delle due persone separatamente, ma so che non le capirò mai analizzandole insieme. E non posso cambiare gli eventi. Nessuno può. Un testimone, ecco cosa sono. Un testimone impotente che deve raccontare quel che gli accade intorno. Come avrebbe detto Luca, lungo la Ostermandingen Strasse, un ragazzo che non è ancora finito ed un uomo che non è ancora iniziato. Lo spartiacque. Senza dubbio.
Un rinnovato silenzio avrebbe rimarginato la ferita, rinforzato gli argini di un’anima che si era spezzata. Se il tempo si fosse fermato, se fosse diventato una silenziosa scia che non lasciava frantumi alle sue spalle, Luca Vialli avrebbe volato nell’esplosione luccicante dei suoi muscoli, modificando la scena e disegnandone un’altra, mentre i nostri sogni si sarebbero accavallati, scavalcati, inseguendosi, inseguendo noi stessi, inseguendo l’incompiuta di un finale…
Matteo Asquasciati su goal.com
Lo speciale di SampTV su quella serata
La partita completa (in spagnolo)
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Partita precedente:
https://www.manicomioblucerchiato.it/coppa-coppe-1988-89-sampdoria-kv-mechelen-3-0/